Platini intervista – “Michel, ti passo l’Avvocato, mi fa Boniperti. E io: “Quale avvocato? Cosa dobbiamo discutere ancora del contratto? Non l’abbiamo appena firmato?”. E Boniperti: “L’Avvocato, Michel, non l’avvocato…”.
E che ne sapevo allora, mica conoscevo la famiglia Agnelli nel 1982″. Si apre così l’intervista di Michel Platini alla Gazzetta dello Sport, il suo racconto di Gianni Agnelli e della Juve nel 100esimo anniversario della sua nascita.
IL RAPPORTO – “Poche parole, tanti complimenti e una richiesta: vinciamo la Coppa Campioni. Ho detto che gli devo tutto? Sì, perché mi ha dato la possibilità di essere felice nel calcio e nella vita. Mi ha portato in una squadra prestigiosa, fatto giocare ad altissimi livelli e vincere, permesso che fossi un uomo libero di scegliere. Non solo nel calcio. Mi ha dato autonomia finanziaria. Tutte cose che vanno oltre il calcio”.
ERO IL VIZIO DELL’AVVOCATO? – «Ah! Vizio… no, passione e soddisfazione. Perché mi aveva scelto e dopo poteva dire agli amici, al suo mondo, agli industriali, agli attori, che capiva tanto anche di calcio. In fondo chi ero? Un buon giocatore francese di Nancy e St.Etienne, non del Barcellona. Alla Juve sono diventato Platini. E lui aveva visto lontano, non Boniperti, non Trapattoni. Lui mi voleva. L’ho reso orgoglioso».
TELEFONATE ALLE 6 – «Ma quale leggenda. All’inizio rispondevo sempre, poi non ho più sentito il telefono. Importanti? No, chiedeva come stavo, se ero pronto per domenica… Aveva richieste a volte originali, ma lo faceva con una simpatia e una semplicità disarmanti. Se devo descriverlo, dico: intelligenza, semplicità, eleganza. Amava scherzare, ma non lasciava trasparire i sentimenti. Semplice pur non essendo una persona semplice, uomo di mondo che viaggiava in elicottero. A Torino la gente lo amava anche senza conoscerlo».
RITIRO – «Era l’87, la stagione stava per finire. Mi invitò a casa sua e gli dissi: “Vado via”. Lui, sorpreso: “Come? Per che squadra?”. Lo tranquillizzai, nessuna squadra: “Smetto”. Sollievo. Subito mi propose di lavorare per lui, ma risposi: “No, grazie, devo tornare al mio porto, sono lontano da tempo, devo riflettere”. Poi ho fatto la tv, il c.t., insomma non è stato possibile. Ma non mi ha dimenticato. E neanch’io. Sa cosa successe alla sua festa per i 70 anni? Venne a Parigi a festeggiare. Chez Maxim. C’era John con lui. Andai a trovarlo e gli regalai il mio primo Pallone d’oro. Mi disse: “Grazie, Michel! Ma è d’oro?”.
E io: “Scherza, Avvocato? Se fosse stato d’oro me lo sarei tenuto!”. Per i miei 40 anni si presentò con un regalo: un pallone di platino, piccolo, ma quello era platino. Il vero regalo fu il pensiero, non si era dimenticato. Era molto attento ai dettagli umani. Ho ricambiato al Mondiale ’98 facendolo venire all’incontro con Kissinger».
DIFETTI – «Non sono stato così vicino a lui per conoscerlo oltre il pallone. Ma ricordo la tristezza immensa per le sconfitte. Il giorno peggiore al porto di Atene, la mattina dopo l’Amburgo. Era distrutto. Lo incontrai con Antonio (Cabrini, ndr) che gli disse: “Tranquillo, il prossimo anno vinciamo lo scudetto e tra due la Coppa Campioni”. Profetico. Ma quella mattina non riuscimmo a tirarlo su».
PIRLO – «Gli sarebbe piaciuto? Tantissimo. Uno di quei giocatori di cui si innamorava, come avere un Platini arretrato davanti alla difesa. Innamorato di grandi giocatori, non solo juventini: Cruijff, Maradona…».
CONSIGLI – «Sempre. “Questo è da Juve, Michel? E quello?”. Gli suggerii Zidane, lui voleva prendere Dugarry. Dissi: “Meglio Zizou”. Dopo sei mesi mi chiamò: “Sicuro di aver consigliato bene?”. Moggi poi l’ha venduto a 90 milioni ma non mi ha neanche offerto una pizza…».
fonte: ilbianconero.com
Questo post è stato pubblicato il 12 Marzo 2021 12:28